Se i tempi son cambiati, lo sono anche le persone e, di conseguenza, i loro bisogni.
Avere un bambino, all’epoca delle nostre mamme, era un passaggio naturale e dovuto, una gioia, ma anche una fatica affrontata con spirito di adattamento. La nascita di un figlio era un cambiamento radicale per molte donne, aiutato dalle famiglie d’origine e dal sacrificio delle madri, che restavano a casa ad accudire i bambini. La coppia coniugale, con questi presupposti, diventava facilmente coppia genitoriale.
Oggi non si smette quasi mai di restare figli e non solo per motivi psicologici, ma per condizioni di precarietà lavorativa, che non aiutano certo la scelta di diventare genitori e impediscono la nascita di nuove famiglie. Se poi il bambino arriva, trova spesso genitori sopraffatti dall’ansia economica, in balìa di lavori che richiedono disponibilità e flessibilità, nonni ancora in piena attività, per lo slittamento dell’età pensionabile e quindi con poco tempo libero, servizi non sempre accessibili.
Un punto dolente, quest’ultimo, come lamenta con amarezza una delle mamme intervistate nel corso della ricerca “Diventare genitori oggi, tra complessità e soluzioni”, condotta dalla cooperativa sociale Società Dolce e SWG: “Volevo inserire il bambino al nido – racconta la donna – per cercare un lavoro, ma non l’hanno preso, perché non lavorando può stare a casa con me”. Un paradosso e una delle tante criticità che la ricerca ha evidenziato: dalla solitudine delle madri, alla mancanza di tempo, dalla difficoltà di conciliare la propria vita lavorativa con quella personale, al bisogno di poter contare su servizi flessibili.
Ma emerge anche la differenza sostanziale nella percezione della qualità del servizio tra due regioni: Emilia Romagna e Lombardia, laddove il 70% dei fruitori del nido nella prima regione è soddisfatto, pur utilizzando il servizio pubblico, maggioranza che cala in modo consistente tra i genitori lombardi, che ricorrono più ai privati, o ai privati convenzionati.
Le proposte dei genitori elencate nella ricerca, poi, sono tante e denotano una grande inventiva: dal Family Sharing, scambio di opportunità e oggetti per l’infanzia tra famiglie, al servizio di babysitting 24 ore per le emergenze, dai luoghi per neomamme, ai nidi ecologici, alle puericultrici e psicologhe a domicilio, per i genitori in difficoltà.
Da questi spunti è partita la discussione organizzata da Società Dolce a Bologna, lo scorso 30 gennaio e che ha visto riuniti, nella suggestiva cornice dell’Oratorio San Filippo Neri, esperti del settore educativo, accademico e istituzionale. Dopo i saluti del presidente Pietro Segata e dell’assessore alla Scuola e Formazione del Comune di Bologna, Marilena Pillati, la conduzione del dibattito è stata affidata alla giornalista Maria Latella, che ha ricordato la propria esperienza di genitore, conciliabile con la professione solo grazie alla disponibilità della nonna ad occuparsi della nipotina.
Federico Bozzanca, della segreteria nazionale della CGIL, ha raccolto il lamento della mamma che si è vista negare l’accesso al nido: “L’Italia è arretrata, rispetto ai servizi per l’infanzia. Il nido e la materna, devono diventare un diritto del bambino, non dei genitori. Un diritto educativo”.
Non parcheggio per il tempo libero, o lavorato, ma occasione di crescita, che mette in gioco personale da formare in modo appropriato, come raccomanda Susanna Mantovani, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale all’Università Bicocca di Milano, nel suo intervento video, dove ha anche chiesto massima attenzione per i bambini.
Sembra quindi che quello che un tempo rappresentava un indicatore di marginalità sociale, oggi sia considerato un’opportunità. Lo ha ben sottolineato Maurizio Fabbri, docente di Pedagogia generale e sociale all’Università di Bologna: “Il nido – ha detto – dev’essere visto come il primo gradino del sistema scolastico. Come tutti i servizi, ha bisogno di trasformarsi, di diversificare gli stili educativi e di contare su competenze.”
Una posizione condivisa anche da Tullia Musatti, dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del CNR, che ha precisato come i nidi svolgano un importante ruolo di lotta all’esclusione sociale, ma che ha messo anche in guardia dall’agire diversificando l’offerta, sull’onda delle ansie dei genitori: “Stiamo attenti a non confondere l’esigenza individuale con l’attesa sociale diffusa. Non vanno date risposte individuali, ma socializzanti. Per i bisogni dei singoli occorre trovare risposte funzionali, generate proprio dalle necessità. Allora vanno benissimo i social network e i forum per confronti tra mamme in crisi, la banca del tempo, così come trasformare le città in spazi dove costruire luoghi d’incontro. Ma il nido è un servizio educativo e come tale deve rispondere ai bisogni della collettività e la flessibilità del sistema non va confusa con la flessibilità del servizio”.
Su questo aspetto ha concordato anche Sandra Benedetti, responsabile dei servizi educativi per l’infanzia e sostegno alla genitorialità, della Regione Emilia Romagna: “Occorre lavorare sulla responsabilità dell’essere genitori, il bisogno individuale va messo in relazione con quello collettivo e così lo si misura. Che non vuol dire che accanto ai servizi non debbano essere previsti e sostenuti occasioni di conciliazione.”
Occasioni preziose, le iniziative per la conciliazione, spesso nate dall’inventiva dei genitori e che possono anche diventare opportunità educative: lezioni di gruppo, laboratori e corsi organizzati insieme al servizio pubblico, o anche solo l’incontrarsi tra genitori e figli al parco giochi, per conoscersi. Perché, come ha ricordato Latella, la disparità sociale inizia al pomeriggio: ci sono bambini che dopo la scuola vanno al corso d’inglese, a pianoforte, a tennis e altri che non hanno nessuna opportunità. Su questo fronte bisogna lavorare, per offrire buone occasioni di crescita per tutti.
Scarica la ricerca “L’esperienza genitoriale nella prima infanzia e percezione dei servizi”