L’incontro sul tema si è svolto giovedì 6 giugno 2019 ed è stato aperto da Simone Borsari, presidente quartiere San Donato-San Vitale, che ha presentato la necessità di creare nuovi riferimenti di welfare cittadino sul territorio. “Di fronte a cambiamenti sociali importanti e veloci e alle nuove esigenze della popolazione, servono risposte innovative”, ha detto. “Il Comune di Bologna sta lavorando in questo senso, senza cancellare l’esistente, ma aiutandolo a traghettare nel futuro. I Centri sociali anziani sono nati a Bologna e sono stati per decenni un riferimento di servizi e socialità, pertanto vanno salvaguardati e fatti crescere. L’istituzione li affiancherà, in una trasformazione che li trasformerà in Case di Quartiere, capace di rispondere all’attualità.”
Matteo Lepore, assessore comunale, ha ricordato la positiva esperienza di patto tra Centri sociali anziani e l’istituzione, per il servizio al cittadino: “Oggi i 33 centri sociali anziani non si occupano solo del target per i quali sono nati, o solo di welfare. Sono il lavoro di generazioni, hanno mantenuto anche il capitale immobiliare comunale, grazie al lavoro volontario. Una ricchezza che non si può disperdere. Oggi il mondo è cambiato, sono cambiate regole, i cittadini e anche il mondo del volontariato. Dobbiamo trovare nuove strade e le Case di Quartiere sono una risposta”.
Anche il collega assessore Marco Lombardo ha voluto ricordare che Bologna è ricca di solidarietà: “Dobbiamo mettere in rete qual che esiste, cercando strade nuove, senza privatizzare i luoghi della città né far prevalere la parte economica su quella sociale”.
Giuliano Barigazzi, assessore comunale, ha parlato di cambiamenti demografici e sociali, ma anche culturali ed economici: “Il rischio d’impoverimento – ha dichiarato – che per Eurostat riguarda a Bologna 50.000 famiglie, è anche relazionale, educativo e parte dalla solitudine, che colpisce gran parte delle 20.000 persone sopra agli 85 anni. Il welfare è frammentato e con questo progetto vogliamo dare un contributo per renderlo partecipato e sussidiario, con nuove risposte. Il Comune ne sarà promotore e regista. La tradizione dei centri sociali diventa un pezzo della costruzione della nuova idea di welfare di comunità, con una struttura immateriale e materiale, capace di supportare i livelli di convivenza della nostra società, rispondere a bisogni, valorizzando tutte le potenzialità del Terzo Settore.”
Termine, quest’ultimo, non amato da Stefano Zamagni, docente di Economia non profit: “Fu coniato da Jacques Delors in Francia nel 1984, come troisièm secteur” ha ricordato. “Negli Stati Uniti, dove tutto è profitto, lo chiamano non profit, ma entrambi i termini sono lontani dalla cultura italiana, che ne è la madre, perché è in Toscana che nel 1200 nascono le prime esperienze, con gli ospedali. E un termine, prima che lo importassimo dall’estero, esisteva già: si chiamavano OMI ,Organizzazioni a movente ideale ed è questa espressione che va recuperata”.
Pur con le difficoltà, secondo Zamagni le case di Quartiere aiuteranno nel passo decisivo verso l’implementazione di questo modello di welfare di comunità e la loro costruzione è stata illustrata da Dino Cocchianella, Comune di Bologna, cui ha fatto seguito la tavola rotonda con Stefano Brugnara, portavoce del Forum Terzo Settore, Ilda Curti, già assessora Comune di Torino, Marta Nalin, assessora Comune di Padova, e il parlamentare Luca Rizzo Nervo.
Società Dolce era presente all’evento, in quanto soggetto del privato sociale, interessato a contribuire alla costruzione di un welfare di comunità.