Giovanni Montecavalli amava le forme. Dall’architettura, alla pittura, percepiva e rappresentava la realtà attraverso tratti geometrici, apparentemente rigidi, ma capaci di movimento ed emozioni.
“L’iperbole – diceva l’artista – è una linea curva e completa. Esce dalla mano come il gesto della semina. Ne siamo circondati ed era impossibile non disegnarle!”
S’intitola “Gio l’iperbolico”, la mostra delle ultime opere di Montecavalli, conclusasi a Palazzo Rasponi, a Ravenna ed esposta per oltre un mese al pubblico. Una sala casualmente piena di iperboli, che delineano le volte del soffitto.
Forme precise, a volte delicate, colorate, che spesso rappresentano figure femminili, capaci di trasmettere gioia di vivere, gratuità del gesto libero, erotismo, linee che arrivano fino al mare di Cesenatico, disegnato come il resto, con pastelli grossi, sulla rugosità del cartoncino.
Tratti concepiti da un uomo sereno, non tormentato, ironico, nonostante la malattia e il dolore.
Le opere esposte a Ravenna appartengono infatti all’ultimo anno di vita dell’artista, quello in parte trascorso all’hospice Villa Adalgisa e precedente alla sua scomparsa, avvenuta un anno fa.
“L’incontro con Villa Adalgisa – racconta la moglie Gabriella – è stato molto positivo. Sono grata agli operatori per l’accoglienza, il supporto, l’ascolto, la semplicità con cui accompagnano giornate segnate dalla morte e dal morire”.
Sara Ori, direttore sanitario dell’hospice gestito dalla cooperativa sociale Società Dolce e dallo IOR, Istituto oncologico romagnolo, ha un’immagine netta dell’incontro con Giovanni Montecavalli: “Empatia, ecletticismo e arte. Le opere di Gio mi sono state mostrate già al primo incontro, a dimostrare come arte e vita fossero per lui imprescindibili”.
All’hospice andrà il ricavato della mostra, accolto con riconoscenza da Fabrizio Miserocchi, direttore dello IOR: “Mi colpisce – ha affermato – quando una persona mette in gioco se stessa per gli altri e quando il dono di sé l’accompagna per una parte importante della vita. L’arte rimanda a un mistero, quello che da quarant’anni permette allo IOR di garantire alle persone malate di cancro una vita piena e di restare loro stesse.”
PUBBLICATO IL 02/09/2019