Una delle cose belle dei miei anni di lavoro sono i volti e le mani dei bambini.
In particolare, i loro occhi sorridenti e scintillanti, occhi divertiti quando sbuco da dietro una porta dopo aver bussato forte con le nocche, le loro bocche aperte mentre racconto una storia, colorate dopo aver usato i pennarelli o aver mangiato la pasta al pomodoro. Ma anche le loro tenere manine quando fanno ciao-ciao, le voci curiose quando mi chiedono "dove vai dada?", i capelli arruffati quando si alzano dopo la nanna, o raccolti in piccole treccine, codine, sostenuti da colorate mollette e divertenti fermagli. E i nasini piccoli, perfetti, da pulire delicatamente, la loro pelle delicata, morbidissima, profumata, bianca, nera, sacra, candida, intatta, che ti racconta della loro famiglia, la loro storia.
Non saprei dire se ho visto più occhi chiari o scuri, grandi o piccoli, neri o marroni, verdi o azzurri, quante mani ho guardato intente a stringere un cucchiaio, o sotto il getto dell'acqua per insaponarsi l'una con l'altra e a schizzare l'acqua nel lavandino. E quante mani ho visto protese ad indicare qualcosa, per aiutarsi con il non verbale, oppure strette alle corde, nelle passeggiate lungo le vie del paese.
Ho sempre chiamato i bambini col loro nome e cognome, ma ho imparato molto osservando i loro visi rotondi, furbi, addormentati, adorabili, assonnati, attenti, birichini, curiosi, dolci, sereni. Attraverso di loro mi sono guardata allo specchio, ho sognato ad occhi aperti, ho immaginato la mia infanzia che ricordo poco e solo attraverso vecchie foto, o racconti diventati ormai favole antiche.
Guardando i bambini ho conosciuto la strada della crescita e della pienezza umana, ho ascoltato il tintinnio di nuove voci e immaginato il futuro attraverso i loro meravigliati occhi, ho meditato a lungo su ogni cosa.
Con loro, giorno dopo giorno, ho imparato a guardare in profondità e in lontananza, per scorgere nuovi sentieri e nuovi vie.
Una delle cose belle dei miei anni di lavoro sono i volti e le mani dei bambini.
In particolare, i loro occhi sorridenti e scintillanti, occhi divertiti quando sbuco da dietro una porta dopo aver bussato forte con le nocche, le loro bocche aperte mentre racconto una storia, colorate dopo aver usato i pennarelli o aver mangiato la pasta al pomodoro. Ma anche le loro tenere manine quando fanno ciao-ciao, le voci curiose quando mi chiedono "dove vai dada?", i capelli arruffati quando si alzano dopo la nanna, o raccolti in piccole treccine, codine, sostenuti da colorate mollette e divertenti fermagli. E i nasini piccoli, perfetti, da pulire delicatamente, la loro pelle delicata, morbidissima, profumata, bianca, nera, sacra, candida, intatta, che ti racconta della loro famiglia, la loro storia.
Non saprei dire se ho visto più occhi chiari o scuri, grandi o piccoli, neri o marroni, verdi o azzurri, quante mani ho guardato intente a stringere un cucchiaio, o sotto il getto dell'acqua per insaponarsi l'una con l'altra e a schizzare l'acqua nel lavandino. E quante mani ho visto protese ad indicare qualcosa, per aiutarsi con il non verbale, oppure strette alle corde, nelle passeggiate lungo le vie del paese.
Ho sempre chiamato i bambini col loro nome e cognome, ma ho imparato molto osservando i loro visi rotondi, furbi, addormentati, adorabili, assonnati, attenti, birichini, curiosi, dolci, sereni. Attraverso di loro mi sono guardata allo specchio, ho sognato ad occhi aperti, ho immaginato la mia infanzia che ricordo poco e solo attraverso vecchie foto, o racconti diventati ormai favole antiche.
Guardando i bambini ho conosciuto la strada della crescita e della pienezza umana, ho ascoltato il tintinnio di nuove voci e immaginato il futuro attraverso i loro meravigliati occhi, ho meditato a lungo su ogni cosa.
Con loro, giorno dopo giorno, ho imparato a guardare in profondità e in lontananza, per scorgere nuovi sentieri e nuovi vie.